lunedì 8 ottobre 2012

13 ottobre, a Ravenna contro la CMC


   La Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna è una delle grandi imprese di costruzioni che devastano giorno dopo giorno il territorio. Nata più di un secolo fa come strumento di difesa degli interessi dei lavoratori nel settore delle costruzioni, ha cambiato radicalmente paradigma, come ha fatto il suo partito di riferimento, il vecchio PCI, trasformandosi in una struttura portante dell’attuale sistema di potere italiano. Attualmente, tra i numerosi altri contratti, guida in valle di Susa il consorzio di imprese che ha ricevuto l’incarico di realizzare il cunicolo esplorativo della Maddalena a Chiomonte, in previsione del tunnel definitivo della nuova linea tra Torino e Lyon. L’incarico è stato assegnato in modo irregolare per numerosi motivi, tecnici e procedurali, che sono stati denunciati nei documenti della Comunità Montana valle di Susa e val Sangone, senza ottenere riscontro.
   Non è questo tuttavia l’aspetto su cui intendiamo discutere; chi volesse farsene un’idea può trovare i documenti della CMVSS in rete.
   In questo documento vogliamo chiarire quale è il ruolo della Cooperativa e quale sia la natura del suo sistema di potere. La centralità della Cooperativa nell’attività economica del Paese deriva dal fatto che essa non è una normale impresa che opera in condizioni di concorrenza, ma è parte integrante di un sistema di potere che comprende i partiti politici di centro sinistra, in particolar modo quelli formati dagli ex comunisti. In realtà la distinzione tra partiti e impresa è puramente nominale. Gli uomini di partito operano in sede politica per far convergere un fiume di denaro pubblico su opere quasi sempre inutili e devastanti, da cui la CMC trarrà un guadagno pressoché incontrollato, dal momento che la componente politica di questa particolare associazione ha azzerato per via normativa qualsiasi strumento indipendente di controllo.
   In compenso la CMC finanzia i partiti stessi e i loro singoli membri, per le campagne elettorali, e, più prosaicamente, per il mantenimento delle loro clientele. La specificità di questo sistema di potere è che esso affonda le mani nella ricchezza comune, distruggendo bene essenziali, di tutti, in modo spesso irreversibile. La distruzione del territorio è la conseguenza più visibile del loro operare.

   Per la verità, non vi è solo la CMC ad agire secondo questo canone di comportamento. La commistione di interessi tra politica ed affari è un fenomeno mondiale, come lo è la rapina di ricchezza pubblica e il trasferimento di denaro dai poveri verso i ricchi. Ma in Italia il processo si è del tutto sbracato, e ha raggiunto limiti intollerabili per i settori più indigenti della popolazione. La CMC è al centro di una rete in molti aspetti informale, la quale rappresenta la degenerazione dei legami che il vecchio partito comunista aveva stabilito con numerosi settori della società, e che avrebbe dovuto assicurare, sotto la direzione centrale del partito, la spinta verso il mutamento progressista. Lasciate cadere, con una rapidità che non ha uguali nella storia dei movimenti politici o religiosi, le proprie motivazioni originarie, questa struttura ha conservato intatto l’insieme delle sue relazioni, e la sua linea di comando, limitandosi ad effettuare un modesto cambiamento di obbiettivo: dalla difesa degli oppressi, all’arricchimento e alla riproduzione di una nomenclatura di parassiti.
   Tanto per venire ad un esempio specifico, quella demenziale opera di distruzione e spreco che è stata l’alta velocità italiana, è nata essenzialmente da un accordo tra Fiat Impresit e CMC. Lo ha raccontato Cusani, l’ex consulente finanziario di Gardini, in una riunione pubblica tenutasi a Susa nel febbraio del 2006 – il relativo filmato è in rete. Un accordo privato, tra privati, che  impegnava, sia pure nascostamente, una somma elevatissima di denaro pubblico. Tuttavia da quel momento, l’Alta Velocità è diventata oggetto della promozione più martellante, non solo nel partito di riferimento, ma anche nelle sue metastasi sociali, nonché ovviamente sui mezzi di comunicazione legati a Confindustria. Editorialisti di fama, intellettuali progressisti, o meno, comitati di casalinghe impegnate, nonché  tutti i sindacati, o quasi, hanno per anni berciato in coro, sostenendo il progetto con le più incredibili frottole. Dissentire non era neppure lontanamente consentito; chi osava, rischiava il linciaggio. Ed era facilmente intuibile che prima o poi avrebbe dato il suo contributo all’impresa, con qualche forzatura, anche l’ala giudiziaria del partito delle Cooperative.

   In tutto questo polverone, la CMC è rimasta prudentemente in disparte, seguendo la vecchia regola che vuole  buona norma mantenere i centri di potere effettivi nell’ombra. Loro costruivano, devastavano, incassavano e ridistribuivano gli incassi. Perché esporsi?
La manifestazione del 13 ottobre a Ravenna vuole restituire alla CMC il posto che le spetta. Noi Valsusini non abbiamo i Lince né le migliaia di uomini armati che stanno proteggendo lo scempio della CMC a casa nostra. Ma vogliamo che sappiano che abbiamo capito. Non si sa mai; se un giorno l’uso della violenza non fosse sufficiente ad assicurare l’impunità ai distruttori, noi sapremo a chi chiedere i conti:
 • delle sorgenti scomparse
 • della perdita di valore dei terreni agricoli e degli abitati
 • dell’inquinamento atmosferico
 • dell’inquinamento acustico
 • dei morti per mesotelioma e per altre malattie polmonari
 • del denaro rubato alle scuole, agli asili, agli ospedali, alle Università, ai pensionati, alle nuove generazioni
 • della perdita di posti di lavoro.

   Quest’ultimo punto è fondamentale. L’argomento più sbandierato dalla congrega di propagandisti delle grandi opere, è che esse servono a creare posti di lavoro. Il che, al di là dell’apparenza, è del tutto falso. Ė vero che qualunque investimento genera flusso di denaro, e quindi almeno in parte opportunità di lavoro. Vale per l’Alta Velocità, per il Ponte sullo stretto, per gli F35, per le mine antiuomo, per le armi incendiarie al fosforo; vale per qualsiasi attività, anche la più ignobile. 

   Ma investire nelle grandi opere è la scelta che genera, a parità di miliardi investiti, il numero minore di posti stabili di lavoro. E poiché il denaro proviene comunque dal Tesoro, quello dedicato all’Alta Velocità viene sottratto al mantenimento dell’assetto idrogeologico del paese, agli ospedali, alle scuole, ai servizi pubblici in generale. Se viene giudicata in termini globali, la politica delle grandi opere offre meno posti di lavoro di quanti non ne elimini;  pone la premessa della loro distruzione in numerosi e essenziali settori, attraverso il meccanismo dell’espansione del debito pubblico.

– Claudio Cancelli

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